di don Paolo Squizzato
È re non chi ha autorità sulle persone in virtù del suo potere, bensì colui
che con la sua vicinanza è fonte di felicità; egli dispone come fosse naturale
di tutto il ‘potere’ che una persona possa mai avere su un’altra, ma possiede
tale potere proprio perché non intende rivendicarne per sé alcuno. Ciò che egli
vuole, se è veramente re, è soltanto promuovere la vita dell’altro» (E.
Drewermann).
«Tu sei re?» domanda Pilato a Gesù. Sì, Gesù è re, ma di una regalità ‘altra’ e
‘oltre’ ogni regalità di questo mondo.
È re nel ridonare dignità a chi l’ha perduta, sollevando dalla polvere i
deboli e i fragili, chi non si è mai sentito ‘idoneo’, pulito o a posto.
Rialzando i “paralitici”, ovvero i bloccati a terra da tristi sensi di colpa o
da leggi e norme promulgate da sacerdoti avidi d’ordine e pulizia, e gettate
sulle spalle di creature incapaci di portarne il peso. Aprendo percorsi di
libertà e distribuendo quel ‘pane’ capace di sfamare la “fame” di senso che
abita il profondo, a differenza dei i re della terra intenti ad elargire il
pane a gente già sazia togliendo così il primo ed ultimo desiderio di vivere.
Gesù invita i suoi a vivere con una postura regale, lavorando nel qui ed
ora per edificare un regno diverso: condividendo piuttosto che prendere, dando
la vita invece di toglierla, liberando da sterili norme invece che imporle,
ponendosi al servizio degli altri anziché servirsene.
È dunque vero re colui che fa la verità, piuttosto che dirla o
recriminarla.
Il re, in ultima analisi, non è uno che dall’alto del suo scranno può fare
a meno dell’umanità, ma è un cuore che sa che il motivo fondante dell’amore risiede
nell’aver bisogno dell’altro per trovare la strada che conduce a sé stessi, e
quindi alla felicità.
È infatti solo amando l’altro che scopriremo chi siamo veramente.
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