sabato 15 aprile 2023

E' IL GIORNO OLTRE OGNI GIORNO

 


OMELIA II domenica di Pasqua

Di Don Paolo Scquizzato

 Gv 20, 19-31

Gesù risorto, si manifesta ai suoi nel ‘giorno uno’, stando al testo originale. È il giorno oltre ogni giorno, slegato dal tempo e dallo spazio. In questa dimensione nuova – stato dell’essere – i discepoli se ne stanno al chiuso con le porte sprangate, pieni di paura, e Lui là ‘in mezzo’; non ‘malgrado tutto’ ciò che gli hanno fatto, ma ‘attraverso’ tutto ciò. L’amore vince non ‘malgrado’, ma ‘attraverso’ ciò che vive (cfr. Gv 12, 24).
Egli se ne sta là in mezzo, non sopra, cosa che accadrà più tardi ai capi della Chiesa gerarchica Per chi sta in mezzo agli altri nessuno è inferiore: “chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. […] Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22, 26s.), ebbe a dire Gesù ai suoi.
A coloro che lo abbandonarono e tradirono riserva una parola, pace, e fa il dono dello Spirito, il respiro stesso di Dio.
Noi, rinchiusi dentro a sepolcri esistenziali, terrorizzati per tutto ciò che accade, abbiamo la possibilità di respirare lo stesso respiro di Dio, quello insufflato nel fantoccio di terra che fu l’antico Adamo, divenendo così esseri viventi. Ora questo respiro vitale, ce lo portiamo dentro, è la nostra matrice profonda, il nostro Sé autentico. Occorre solo diventarne consapevoli, e stare lì, respirando, respirandolo.
Tutto è già dato. Comincia a respirare. Diventa consapevole.
‘A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati’, conclude il Nazareno. Avendo fatto esperienza della vita in voi stessi, ora comunicatela agli altri; gettate luce in faccia alle donne e agli uomini del mondo, e risvegliateli! Chi accoglierà la Luce sarà risanato, illuminato. Chi lo respingerà rimarranno liberi di farlo.
Il dono del perdono non è potere concesso a pochi, ma responsabilità che spetta a tutti.

sabato 8 aprile 2023

ESPERIENZA DI GESU'

 


OMELIA -  Pasqua di Risurrezione

di don Paolo Scquizzato





Alcune donne e uomini fecero per alcuni anni esperienza di Gesù di Nazareth,
sulle polverose strade della Palestina. Dev’essere stata un’esperienza talmente straordinaria d’averne la vita trasformata. “Deve aver avuto l’effetto di un ridestarsi dopo un lungo sonno, come un appello ad abbandonare la non-vita per entrare nella realtà, come un lacerare sogni angosciosi, come un aprire
gli occhi alla luce. Con Gesù accanto quelle donne, e quegli uomini percepirono
che la vita merita d’essere vissuta, perché colma di promessa di infinito,
perché finalmente amate, accolte, ridestate alla dignità, perché oggetto di
amore da sempre” (Eugen Drewermann).

Chi ebbe modo di entrare in contatto col mistero dell’uomo Gesù, il tempo e lo
spazio uscirono di asse. Vissero come in una dimensione altra: un eterno
presente.
Noi abbiamo un sottile presentimento di cosa voglia dire vivere momenti così,
infiniti”; succede quando ci sentiamo amati, integri, in contatto col nostro Sé
autentico, e in comunione con tutto e con tutti. Quando anche solo per un
fugacissimo istante ci percepiamo parte di Uno che non sta sopra o accanto a
noi – perché dentro e fuori, sotto e sopra ormai non tengono più – ma è noi, e
noi siamo Lui, la medesima e identica essenza, materia.

Risurrezione potrebbe quindi voler dire vivere quell’infinitesimale stato di
coscienza, di consapevolezza di essere partecipi di Ciò che costituisce noi e al contempo tutto ciò che esiste, l’Uno, il Tutto. La morte – di contro – ne sarebbe dimenticanza, sogno e oblio. 
Vivere da risorti vorrà dire dunque declinare nel quotidiano esistere questa consapevolezza, vivere da desti, risvegliati alla nostra vera essenza, l’essere divino.

In ultima analisi corrispondere al «divino che chiama e dona potere alla vita
umana per infrangere le barriere che ci imprigionano in una percezione
distorta di ciò che significa essere umani. […] mettere da parte i confini che
abbiamo creato nella nostra ricerca umana di sicurezza, andare oltre questi
confini ed entrare nel significato di Dio» (J.S. Spong).

mercoledì 5 aprile 2023

LA PASQUA

La celebrazione della Pasqua ricalca sostanzialmente un rito compiuto dai pastori nomadi nella notte del plenilunio di (marzo-aprile) (Il calendario adottato era lunare) prima della partenza verso i pascoli primaverili. In una sorta di pasto sacro familiare consumato nell’accampamento, si mangiava la carne abbrustolita di un agnello maschio nato nell’anno.

Il sangue dell’animale sgozzato, asperso sui pioli e all’ingresso della tenda avrebbe dovuto all’allontanare ogni pericolo di sterminio. Il popolo ebraico, assumendo questo momento simbolicamente importante presso i nomadi, per celebrare la “Pasqua del Signore vostro” indica con precisione le modalità celebrative: l’agnello doveva essere immolato al tramonto da tutta la comunità radunata; la sua carne va arrostita e consumata in fretta, come da viandanti in sosta pronti a riprendere il viaggio. Il termine Pasqua può forse derivare da “pasch” che significa “saltare”, ”passare oltre”. Si allude qui forse alla danza come primo momento della festa. In questo contesto è chiaramente indicato il “passare” di JHWH in mezzo all’Egitto per mettere a morte i primogeniti egiziani e “risparmiare” Israele. La festa diviene infatti, di generazione in generazione “Memoriale” (ZIKKARON) perenne dell’uscita dall’Egitto, rendendo presente nell’oggi della comunità il dono della libertà offerta nel passaggio e continuamente rinnovata. Nella festa tipica di un gruppo (Seminomade) si fonda un’altra celebrazione:  

 

quella degli AZZIMI che durava sette giorni. Anche questo era un rito antico, nato fra gli agricoltori. Al momento del raccolto si offrivano il primo covone e il primo pane impastato senza lievito. L’eliminazione del lievito aveva un significato purificatorio in quanto la fermentazione, secondo la mentalità semitica, era vista come elemento di corruzione. Le due feste, quella di Pasqua e quella degli azzimi: si fondevano per comando del Signore nell’unica celebrazione del memoriale dell’uscita dall’Egitto e dunque della liberazione operata da Jhwh a favore del suo popolo Israele.

 La Pasqua di Gesù Cristo è simile a quella del popolo ebraico, che, sulla parola di Mosè e con la sola forza della Fede nel Dio dei suoi padri, si libera dal potere del Faraone e lo trascina con se nella morte, per rinascere alla vita oltre il Mar Rosso e pervenire così all’INCONTRO con Dio sul Sinai e nella terra promessa.

(dalla 4 catechesi di don Angelo Saraceno nella Quaresima)

sabato 1 aprile 2023

GIUDA TRADISCE E POI SI PENTE

 

di don Paolo Scquizzato

OMELIA Domenica delle Palme. Anno A 

Nel racconto della passione di Gesù, tutti compiono ciò che non vorrebbero compiere.


Pietro non avrebbe mai voluto rinnegare il suo Signore, e poi cade dinanzi ad una serva da cortile.
Giuda tradisce, e poi si pente in maniera tragica.
Pilato non avrebbe mai voluto consegnare il Nazareno nelle mani degli odiati giudei, e poi cede per biechi calcoli politici.
Si sa, ‘lo spirito è forte, la carne debole’.
Quanto siamo realmente liberi e dunque colpevoli del male che facciamo?

Solo le donne nel racconto della passione, sembra pensino e facciano ciò che hanno pensato. Volontà e azione in loro coincidono, perché si fidano dei sogni, 

come la moglie di Pilato che dirà al marito: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi in sogno sono stata molto turbata per causa sua» (v. 19).
Forse il femminile è l’ultimo avamposto dove ancora ci si fida dei sogni di giustizia, di amore e compassione.
Occorrerebbe che tutti ci si portasse dentro un certo sentire femminile e materno, ossia l’innata convinzione che la vita va difesa, sempre, fino in fondo, a tutti i costi. E comprendere che nel duello tra morte e amore, chi vincerà alla fine sarà sempre l’amore e che il massimo che potrà accadere sarà un terremoto (v. 51) che spalancherà i sepolcri permettendo alla vita di uscire, come la vita da un guscio d’uovo.
Nel Vangelo è presente un sapere femminile enormemente superiore a quello degli uomini. Esse sanno che meno si opera più si crea, che la vita può scaturire da sé per via negativa e non necessariamente perché si è posto in essere un’azione. Che il divino ce lo portiamo dentro ed è sufficiente lasciargli spazio perché possa compiersi, come Maria che ha dato alla luce la Luce, ‘senza concorso d’uomo’.
Esse hanno compreso, come la Maddalena, in cosa consiste l’amore. 

Per questo Maria Maddalena ha ‘insistito’ davanti a quel sepolcro, perché ha creduto fermamente che il seme caduto nel terreno prima o poi avrebbe portato frutto, sarebbe sbocciato, perché il femminile sa come funziona l’amore; sa che «si può sigillare un sepolcro, si può persino metterci davanti una guardia, ma non si può impedire che la vita abbia inizio in coloro che l’hanno compresa» (E. Drewermann).