sabato 27 agosto 2022

QUESTA IMMAGINE DEL DIO TERRIBILE ...

 Don Paolo Scquizzato


OMELIA XXII domenica del Tempo Ordinario. Anno C

Eb 12, 18-19.22-24a
Lc 14, 1.7-14

«Fratelli, non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola» (Eb 12, 18s.).
Questo passo della seconda lettura di oggi, ricorda ai cristiani come al tempo di Mosè circolasse un’idea di Dio capace di incutere ‘timore e tremore’, arrivando ad auspicare che quel dio arrivasse a non rivolgere più loro la parola. Questa immagine del dio terribile era veicolata da un sistema gerarchico, che – oltre al fatto di porsi come mediazione tra cielo e terra – faceva della paura il mezzo favorito per gestire le masse e quindi il fatto religioso: al tempo di Gesù era ben strutturato: il Sinedrio all’apice, a seguire gli anziani del Tempio e gli scribi, ovvero i teologi della legge e della morale, e poi i farisei. Alla base della piramide uomini e donne, la massa indistinta dei fedeli.
Gesù, è venuto a dire e a mostrare, come questa immagine di Dio fosse chiaramente blasfema. Egli ha sempre denunciato ogni gerarchia che presumesse di collegare cielo e la terra, e quindi ogni mediazione umana e chiunque si arrogasse il diritto di farsi guardiano delle cose di Dio. Tra Dio e i suoi figli non esistono mediatori: «Quando pregate dite Padre» (Lc 11, 2), e si ‘conoscerà’ Dio solo nella misura in cui si ‘conoscerà’ l’uomo, nella fattispecie il più povero e indigente.
Il Concilio Vaticano II (1965) farà sua questa certezza evangelica: il popolo di Dio – la Chiesa – è un l’insieme di donne e uomini di per sé ‘regale’, ossia senza capi né regnanti che dominano su di essa. È il popolo re di sé stesso.
La Chiesa tutta è un popolo sacerdotale: non si danno dunque preti, vescovi, papi che possano fungere da mediatori fra l’insieme dei fedeli e la divinità perché il popolo medesimo possiede il sacerdozio, in quando tutti sono sacerdoti in virtù del loro battesimo.
E infine la Chiesa è un popolo profetico capace cioè di pensare e leggere la storia con saggezza intravedendo nell’ascoltando anzitutto della propria coscienza il cammino da seguire senza il bisogno di qualcuno che lo debba ammaestrare, dirigere e condurre dall’alto.
La Parola di questa domenica è tutta volta a rispondere alla domanda fondamentale: dove poter incontrare dunque il volto autentico di Dio? Non quello terrifico impiegato da alcuni a proprio uso e consumo, ma quello narratoci da Gesù di Nazareth?
Non in un cielo che si dà a noi attraverso mediazioni umane che sotto condizione (morale, cultuale, rituale…) si arrogano il diritto di aprirne o sbarrarne le porte. (cfr. Mt 23, 13), ma piuttosto nell’uomo assetato e affamato.
Il Vangelo di oggi è inequivocabile a riguardo.
La società che viene auspicata dal nazareno – conforme al sogno di Dio – non è quella formata da un gruppuscolo religioso certo di stare dalla parte di Dio o peggio ancora che Dio stia dalla propria, ma quella dove a tutti è dato sedersi alla medesima mensa per poter condividere i beni della terra, e fare festa attraverso il reciproco perdono, senza distinzione tra ricchi e poveri, gerarchie e ‘fedeli’, santi e peccatori.
«Questo è l’esser cristiani. Il nome di Dio viene dopo. È meglio che non si pronunci, per ora, perché ci imbroglia, e perché reintroduce un’idea creata dalla classe del potere. Solo se io amo il povero posso pensare a Dio senza sbagliare. Se non penso all’uomo, penso a Dio sbagliando. Questa è la verità che viene dal Vangelo» (Ernesto Balducci).7h

sabato 20 agosto 2022

"PER VOI,LA PORTA DELLA SALVEZZA E' CHIUSA"

 

Don Paolo Scquizzato

OMELIA XXI domenica del Tempo Ordinario. Anno C

Lc 13,22-30

A tutti coloro che pensano di giungere al proprio compimento di persone umane (questa è salvezza), semplicemente attraverso una serie di pratiche come: l’ascolto della Parola: «tu hai insegnato nelle nostre piazze» (v. 26b), una costante pratica eucaristica: «abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza» (v. 26), magari una vita morale irreprensibile, portata avanti anche con una buona dose di sacrifici, Gesù risponde: «Per voi, la porta della salvezza è chiusa! Voi – proprio voi – non so di dove siete. Allontanatevi da me» (vv. 25b. 27)

Quelli che si salveranno, continua Gesù, saranno invece quelli che arriveranno da oriente ed occidente, da settentrione e mezzogiorno (v. 29) – luoghi dove risiedono i popoli maledetti e nemici storici di Israele! Proprio questi entreranno: «siederanno a mensa nel regno di Dio» (v. 29b), ovvero vivranno la comunione più alta con Dio. 

Interessante: si salva chi è perduto. Gesù, in maniera paradossale, ci invita a cambiare mentalità. Non è il proprio ego, la propria volontà a conquistare il cielo, o se vogliamo la salvezza, ma piuttosto farsi accoglienti ad un qualcosa che è già dato, che è previo, immeritato.

“La grazie è senza sforzo” ebbe a dire Simone Weil. Non vi è alcun premio da conseguire e chi crede di procurarsi la salvezza, è già perduto. Chi vive nella logica del merito, renderà vana la croce di Cristo, dono per tutti i ladroni crocifissi della storia. Ma allora quel «sforzatevi di entrare per la porta stretta» (v. 24) come va interpretato? Non certo come uno ‘sforzatevi con una vita morale e santa di entrare nel paradiso; sforzatevi di essere buoni, di amare, di non fare peccati…’. Anzitutto in greco non c’è sforzatevi bensì “lottate”. Siamo chiamati a lottare contro tutto ciò che impedisce di essere raggiunti, le nostre sovrastrutture religiose, la presunzione di essere dalla parte giusta, di ‘essere dei suoi’, di essere meritevoli della sua attenzione. Tutto questo risulta essere impedimento alla Presenza che desidera solo poter emergere dal nostro essere e trasformarci. Ciò che impedisce a Dio di amarmi non è il mio peccato, la mia debolezza, ma non fare spazio in me al suo dono immeritato, non accettare il suo amore gratuito, perché tutto intento a guadagnarmelo. Impedirò a Dio di amarmi ogni volta che penso che questo amore vada meritato. In questo caso lui non può venire a me, perché egli è venuto solo per gli ammalati e gli ingiusti (cfr. Lc 5, 31). Gesù sta dicendo proprio a noi: “Lottate” (sforzatevi) contro la vostra presunta “ricchezza” spirituale (cfr. Lc 6, 24), i vostri meriti, solo così potrò finalmente venire a recuperare ciò che era perduto (cfr. Lc 19, 10).

La porta sarà sempre stretta, anzi chiusa per ciascuno di noi se viviamo come schiavi dinanzi a un Dio padrone. E sarà larga solo per i miseri e i peccatori, perché da lì passerà il fiume della misericordia di Dio che come Padre si prende cura di tutti i suoi figli. Qualcuno dinanzi a questo Vangelo sconvolgente dirà: allora è tutto ‘facile’, basta stare in un certo quietismo, magari continuando a peccare e aspettare che lui venga a salvarci. E invece no! Per questo Gesù dice: «lottate!». Ci vuole molta più forza per vivere da figli liberi e accettare di essere amati gratuitamente, che vivere da schiavi strisciando a terra come servi per guadagnarsi il suo amore. Ci vuole più forza ad aprire il pugno e stendere il palmo per ricevere il dono, che serrarlo per conquistare il cielo con la propria volontà.

sabato 13 agosto 2022

Sono venuto a gettare fuoco sulla terra

 

OMELIA XX domenica del Tempo Ordinario. Anno  

Paolo Scquizzato

Lc 12, 49-53

«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!», dice Gesù nel vangelo di oggi.

Dopo duemila anni di cristianesimo pare questo fuoco non sia mai veramente divampato; il fuoco del messaggio evangelico, quello delle beatitudini, di uno stile di vita fondato sulla condivisione, la cura, il servizio, facendo di contro troppo spesso l’occhiolino al mondo che radica sé stesso sul potere, l’avere e il successo, ammantando tutto con la pratica religiosa.
C’è un racconto significativo del gesuita Antony de Mello che spiega molto bene la situazione che si è venuta a creare all’interno dell’istituzione Chiesa in questi due millenni, non avendo mai compreso sino in fondo ciò che viene chiamata Tradizione, che non il culto delle ceneri, ma la custodia del fuoco!

«C’era un uomo, che aveva inventato l’arte di accendere il fuoco. Prese i suoi attrezzi e si recò presso una tribù del nord, dove faceva molto freddo. Insegnò a quella gente ad accendere il fuoco. La tribù era molto interessata. L’uomo mostrò loro gli usi per i quali potevano sfruttare il fuoco – cuocere il cibo, tenersi caldi, ecc. .
Quelle persone erano molto grate all’uomo per quanto era stato loro insegnato sull’arte del fuoco, ma prima che potessero esprimergli la propria gratitudine, egli scomparve. Non gli importava ricevere il loro riconoscimento o la loro gratitudine: gli importava il loro benessere. Si recò in un’altra tribù, dove nuovamente iniziò a dimostrare il valore della sua invenzione. Anche quelle persone erano interessate, un po’ troppo però per i gusti dei loro sacerdoti, che iniziarono a notare che quell’uomo attirava la gente, mentre essi stavano perdendo popolarità. Così, decisero di liberarsene. Lo avvelenarono – o lo crocifissero, non ricordo più. Ora, però temevano che la gente si rivoltasse contro di loro, e così fecero una cosa molto saggia, persino astuta. Fecero eseguire un ritratto dell’uomo e lo montarono sull’altare principale del tempio. Gli strumenti per accendere il fuoco furono sistemati davanti al ritratto, e la gente fu invitata a venerare il ritratto e gli strumenti del fuoco, cosa che fece ubbidientemente per secoli.
L’adorazione e il culto continuarono, ma non fu mai usato il fuoco».