sabato 21 maggio 2022

«SE UNO MI AMA… »

di don Paolo Squizzato

OMELIA VI domenica del Tempo di Pasqua. Anno C

Gv 14, 23-29

«Se uno mi ama… » dice Gesù (v. 23).

Cosa vuol dire “amare Gesù”? Io credo permettergli di amarmi. Lasciarlo libero di agire in me. Finché ci sono io, non c’è Dio.

La questione è sempre la medesima: «Chi odia la propria vita in questo mondo, la conserva per vita eterna» (Gv 12, 25), e qui ‘odiare’ significa ‘espropriare’ il proprio falso sé, il proprio ego, per far spazio al ‘divino che è in noi’, il nostro ‘sé autentico’.

‘Amare Dio’ sarà perciò una sorta di ‘non azione’, al fine di lasciare a lui l’unica azione che conta. D’altra parte noi siamo per natura ‘piena ricettività’, e ciò che ci viene richiesto è solo di «coltivare tutte le nostre potenze mentali, psichiche e sensoriali perché si sviluppi in noi il divino, di cui poi fare esperienza di tale sbocciare» (W. Jäger).

Allora comprenderemo perché Gesù continua dicendo: «Se uno mi ama… noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (v. 23). Nella non-azione, nel rinunciare a ‘scalare il cielo’, si godrà finalmente del cielo in noi.

Una volta che Dio si espanderà in noi, plasmati e trasformati in lui, diverremo detentori dello Spirito santo (v. 26) e della pace (v. 27). I due doni del risorto.

E questo Spirito di Dio in noi, assolverà due compiti fondamentali:

1) «Insegnerà ogni cosa» (v. 26a), ossia che lui è Padre, che noi siamo figli e quindi che l’unico modo per vivere è lasciarsi amare, scoprirsi e vivere da fratelli.

2) «ricorderà tutto» (v. 26b). ‘Ri-cordare’, etimologicamente vuol dire ricondurre nel cuore. Chi è in Dio, chi è stretto in questa unione, può dimorare finalmente in sé stesso, all’interno di sé, non è più costretto a perdersi, non è più frantumato in mille pensieri e azioni che non gli appartengono. Ha le radici ben radicate in sé, al centro del suo cuore.

«Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (v. 27).

La pace è la serena certezza che in questa unione intima con Dio, non è più necessario crearsi nemici per vivere in pace. Infatti la pace del mondo (cfr. v. 27b), è quella fondata sulla violenza, sulla paura, sul dominio, su pericolosi giochi d’equilibrio. La pace di Cristo è frutto della vittoria del bene sul male, o meglio del male attraversato dal bene.

La consapevolezza di essere una cosa sola con la divinità che ci pervade, ci fa vivere nella pace, quella che niente e nessuno potrà mai toglierci.

 

sabato 14 maggio 2022

Quando Giuda fu uscito ....

 

Di don Paolo Scquizzato

OMELIA V domenica del Tempo di Pasqua. Anno C

Gv 13, 31-33a.34-35

«Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato”».

Il tradimento, il massimo del male subìto, Gesù lo fa coincidere col massimo della gloria. Il buio che colpisce Gesù, diventa possibilità di manifestare la luce, la stoffa di cui è fatto l’Amore, la divinità.
L’amore riporta la vittoria quando viene ferito.
Le nostre fragilità, limiti, fallimenti, il male invincibile che ci accompagna possono diventare – se solo lo volessimo – il luogo della manifestazione della gloria di Dio, della ri-creazione, dell’inizio di qualcosa di nuovo e inaudito.

«Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo:

quando sono debole, è allora che sono forte» ci ricorda Paolo (2Cor 12, 9s.).
Sulla croce abbiamo la manifestazione massima dell’essenza dell’Amore; lassù viene in qualche modo rivelato il nome stesso del divino, la sua stessa sostanza.

“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (v. 34). La novità di questo comandamento sta nel far perdere a questo l’aspetto di legge. Con Gesù s’è chiusa l’epoca dell’osservanza di leggi sterili, e s’è aperta la possibilità di vivere una vita nuova, attraverso il bene vicendevole, in ultima analisi la possibilità di fare esperienza del divino.
Le leggi servono perché possiamo arrivare a farne a meno.
Gesù non propone nuove esigenze, altri imperativi etici, pesi insopportabili da portare, ma elargisce un dono.
Infatti l’amore non obbliga mai, dona. E se ‘comanda’ qualcosa prima lo concede.
«Donami o Dio ciò che mi comandi, e poi comandami ciò che vuoi» (Agostino).

venerdì 13 maggio 2022

UN APPASSIONANTE ROLLO

 

L’azione apostolica di

 Peppe Tringali

Scuola Responsabili del 12 maggio 2022

L’azione apostolica o apostolato è far diventare discepoli di Cristo tutti gli uomini, per amore di Dio e del prossimo. (don Luca Saraceno 28 luglio 2013)

La relazione di Peppe Tringali è stata intelligente fatta in puro stile cursillista, pervasa da tre interessanti vivenze. Ha concluso con un  bellissimo pensiero dedicato alla propria moglie, fonte d'ispirazione, che ha suscitato  nei presenti forti emozioni e sentimenti  seducenti. Dedicandole il rollo, il relatore ha inteso generosamente condividere con i suoi amici  le gioie, i dolori e le malattie di sua moglie, come se fosse la sua stessa vita.  "Ama tua moglie come ami il tuo corpo e la tua vita." (Efesini 5:28-33)

Il relatore approfondisce questo tema sostenendo che solo “ Da una relazione con Dio, conseguenza della vera preghiera, deriva la forza che rende efficace l'azione apostolica. Se manca questa dimensione spirituale, l'apostolato può diventare mero attivismo.” Allora é solo seguendo la via della preghiera che giungiamo a realizzare una vera azione apostolica. “Più preghiera, più azione”.   

“In questo tempo di consumismo e immagine, abbiamo anche imparato a diffidare da quelli che ci promettono cose buone. In questo contesto, la parola «evangelizzare» può fare paura. Per questo oggi si può riuscire a proporre la propria fede solo attraverso la testimonianza del proprio vivere quotidiano.”

Dall’intima relazione con Cristo nella solitudine della nostra preghiera sboccia la pressante  domanda: “Che cosa hai fatto di tuo fratello?” Allora, Il relatore si chiede “quale sia  l’unità di misura dell’essere cristiano, la forza tipica e primaria su cui fare leva, nel tentativo di fare conoscere Cristo ai fratelli attraverso il nostro agire e le nostre testimonianze.”

Riflette e conclude: E’ dalla “ unione con Cristo, che mantiene viva la grazia di Dio in noi, che si realizza qualsiasi attività apostolica, visto che “la nostra attività sarà realmente apostolica nella misura in cui lasciamo che sia Dio a lavorare in noi e attraverso di noi. Così, più riceviamo nella preghiera di silenzio, più possiamo dare, nella nostra vita attiva e nel nostro lavoro.” Conclude: “Fidandoci di Lui e della Sua Grazia”. 

Luigi Majorca

 Alcuni intervenuti



I SALUTI






 

domenica 8 maggio 2022

FEDE, POESIA e REALTA’

 

Don Raffaele Aprile

Molto si è scritto  sulla Madonna, da San Francesco d'Assisi ad Alda Merini nei giorni nostri. Tante poesie hanno magnificato la Santa Vergine Maria sotto profili diversi, così si è sublimato il rapporto tra Maria e Gesù nel contesto del vangelo e della sua passione (Jacopone da Todi, Donna de Paradiso nella rielaborazione della  crocifissione di Cristo).  Non trovo tuttavia espressioni artistiche che riguardano l’aspetto vocazionale, così come è sovrabbondante nella poetica di don Raffaele Aprile.

 Questa bella poesia dal titolo “Vergine delle lacrime”  è l'ultima creatura della sua inesauribile produzione artistica recitata ed interpretata in inglese da Pascal Meyer SJ (potete ascoltarla cliccando sul seguente link https://youtu.be/EvWymlUEXSE).

Madonna delle Lacrime, perché piangi?

Le tue lacrime sono amore, gioia e speranza.

Il tuo pianto, o Maria,

non ha il sapore

di una storia giunta al termine,

al contrario... ne apre una nuova,

non più come quella di prima.

Le tue Lacrime, o Madre, ... nel tuo volto,

sono come una rugiada di pace che scende sulla nostra vita;

sono Lacrime come di un battesimo

che ci confermano ancora

di essere figli di Dio.

Tu, o Maria, sei viva, perché il Vivente è in te!

E tu, o figlio, va... e dì a tutti il mio Amore con la tua vita.

Ricordare che la decisione di abbracciare il sacerdozio da parte di don Raffaele sia da ricondurla al culto della  Vergine delle Lacrime nel suo santuario di Siracusa, ci lascia pensare ad una grande fede, presupposto necessario per la produzione artistica volta ad indicarci che le lacrime di Maria hanno una finalità etica insopprimibile in chi crede e si stupisce di fronte a questa realtà che è ben lungi da ciò che il cuore desidera.

Non è difficile individuare in don Raffaele l’aspetto pratico del miracolo della Madonna delle Lacrime che assume, non solo per lui ma per tutti i credenti, un’importanza decisiva tanto da collocare l’amore per Maria al vertice della propria vita.

La poetica di don Raffaele   è  strettamente collegata “alle lacrime di Maria” ma non è bidirezionale e sovrapponibile, nel senso che non è Maria che ha bisogno dell’artista ma è l’artista, don Raffaele,  che ha bisogno di Maria.

Luigi Majorca

sabato 7 maggio 2022

TUFFARCI IN FONDO ALL'ABISSO di

 

 DON PAOLO SCQUIZZATO

OMELIA IV domenica del Tempo di Pasqua. Anno C

Gv 10, 27-30

«Tuffarci in fondo all’abisso, sia Inferno o Cielo, che importa? per trovare qualcosa di nuovo nel grembo dell’Ignoto» (C. Baudelaire, Il viaggio).

La novità è da sempre intesa come un ‘cambiamento radicale’. Un voltare pagina, frantumare l’esistente, sradicare, dissodare, eliminare ciò che è stato, perché qualcosa di nuovo possa sorgere. Tutto ciò si chiama rivoluzione, ma questa prima o poi richiederà sempre un braccio armato.

Gesù non è stato un rivoluzionario, ha piuttosto inteso avviare una riforma, che è qualcosa di profondamente diverso. Non ha mandato all’aria il pregresso, ma ha preso questo e ci ha buttato dentro un po’ di lievito (cfr. 13, 33). La pasta – la realtà – è sempre quella, ed è lì che occorre buttarci dentro il lievito, e tutta lieviterà.
«La felicità è amare ciò che si ha», diceva Agostino, e non desiderare sempre qualcosa di nuovo. E amare ciò che si ha significa ‘insistere’ sulla realtà qui ed ora, senza consumarsi in sogni o sterili desideri. Per questo Jacques Lacan dice che la parola più alta dell’amore è ‘ancora’.

Se il cambiamento impone di passare da un oggetto all’altro, per poi sperimentare a sera che è già vecchio, l’amore reclama lo sforzo titanico dell’approfondire, di scendere in profondità, per poi dire ‘oggi guardo ancora il tuo volto, e anche se è sempre il medesimo, non mi stanco perché è profondo come l’infinito’.

Stiamo morendo di superficialità. Ci si stanca presto di tutto, confondendo vita con vitalità. Ci accontentiamo della spuma del mare, quando lo splendore è racchiuso negli abissi.

Gesù ha amato in questo senso. Non ha cambiato nulla ma trasformato tutto, cominciando con l’acqua in vino alle nozze di Cana, per finire con la morte. Non ha sostituito la morte, l’ha attraversata, e attraversandola l’ha trasfigurata in vita.
Le sue pecore, per le quali darà la vita, sono quelle di sempre: testarde, fragili, paurose; infatti queste lo tradiranno, lo rinnegheranno e l’abbandoneranno. Ma lui insiste, sta ancora con loro, un altro giorno, e un’altra notte ancora. L’amore non abbandona, sta. Ecco cosa fa l’amore, rende eterno ciò che è amato.


Ma che significa ‘rendere eterno qualcosa? Dargli compimento, condurlo a fiorire.
L’amore sottrae a quella data realtà il tarlo della morte; lo salva dal disfacimento, dalla dimenticanza.

“Dire ti amo significa dire: tu non morirai” ci ricorda Gabriel Marcel. Per questo che coloro che amiamo non li perderemo mai. È il nostro amore a renderli ‘per sempre’.

Gesù sta con i suoi, e ci starà anche quando questi non staranno più con lui. Ci starà anche quando la sua amicizia verrà tradita e quando i suoi coltiveranno pensieri di morte contro di lui. E qui l’insegnamento è grande: avere fede non significa tanto credere in Dio, quanto credere che Dio si fiderà ancora di me, senza se e senza ma.
L’amore è cosa strana, più lo si dona, più diventa grande, fecondo. Non s’impoveriranno mai d’amore coloro che amano. Anzi, ne acquisiranno sempre di più.
Aveva ragione il grande Shakespeare quando in ‘Romeo e Giulietta’ quest’ultima rivolgendosi all’amato dice: «Più ti do più ho».

lunedì 2 maggio 2022

IL SORRISO, UNA FORMIDABILE CARICA COMUNICATICA

 Di Luigi Majorca

Giorno 9 aprile ad Augusta in piazza Duomo si è svolta una appassionata iniziativa ad opera della sezione siracusana dell’AIL (Associazione Italiana contro le Leucemie) “La giornata del Sorriso”. Hanno collaborato altre associazioni di volontariato, la “Djonair” el’ “Isola Felice” . Si è voluto elevare dei  bambini sfortunati a protagonisti della giornata ad  un ruolo di primo piano nelle vicende della vita reale.

È importante, che i bambini sviluppino la consapevolezza dei propri stati d’animo, imparino a gestirli, attivando comportamenti per stare bene con se stessi e con gli altri.


Ippocrate, Il grande padre della medicina, fu il primo a capire l’importanza del sorriso. Egli  diceva che: “Da un sorriso nasce sempre un altro sorriso”.  Ci avete fatto caso? È sufficiente guardare un bambino che sorride perché spontaneamente affiori un sorriso di risposta sul viso di chi lo guarda.

Il sorriso è, allora, il più bel contributo per una vigorosa empatia con l’altro. La prossimità con l’altro, con un bambino sorridente, in un contesto del tutto diverso dalla quotidianità della loro vita problematica, ha offerto un significato  diverso della manifestazione ad alcuni amici cursillisti ,Salvo De Luca, Beniamino D’Augusta, Giuseppe Gionfriddo, Peppe Tringali. Infatti, dalla esperienza fatta,  hanno potuto verificare che il camminare insieme con chi ha conosciuto già la sofferenza significa riscoprire come la vita ci concede anche nel disagio situazioni di felicità.



La prossimità con la sofferenza dell’altro e in special modo dei bambini rende grande gioia nella comunità di cui si è parte. Nel movimento deli Cursillos di cristianità  “la prossimità” e “la nuova evangelizzazione” sono obiettivi difficili ma non impossibili da raggiungere nell’attuale contesto del globalismo e del politicamente corretto.

Tuttavia non c’è una ricetta che vale per tutti, non c’é una formula pre-confezionata, bisogna saper operare con spirito di iniziativa e di fantasia a seconda del contesto in cui ci si trova. Così l’aver regalato ai bambini un uovo di Pasqua in prossimità di questa “santa festa” ha assicurato ai piccoli un sorriso ed ai  miei amici ha donato una magnifica esperienza per aver dato allo “Spirito” accoglienza.

Concludiamo con una poesia che ci lascia riflettere :

“Prendi un sorriso,
regalalo a chi non l’ha mai avuto.
Prendi un raggio di sole
fallo volare là dove regna la notte.
Scopri una sorgente
fa bagnare chi vive nel fango.
Prendi una lacrima,
posala sul volto di chi non ha pianto.
Prendi il coraggio,
mettilo nell’animo di chi non sa lottare.
Scopri la vita,
raccontala a chi non sa capirla.
Prendi la speranza,
e vivi nella sua luce.
Prendi la bontà,
e donala a chi non sa donare.
Scopri l’amore,
e fallo conoscere al mondo.”

(Mahatma Gandhi)