domenica 26 febbraio 2023

CI DOBBIAMO PROVARE


  

Di Cristina Filetti










Il 22 febbraio si è svolto l’incontro conclusivo del nuovo corso di metodo,  iniziato nell’ottobre dello scorso anno e tenuto nella sala della Parrocchia dei Missionari dei Sacri Cuori in Secondigliano. Le aspettative non sono state deluse.


Particolare la fine, a dir poco entusiasta, di un percorso a volte faticoso  ma assai partecipato da   gruppi di sorelle e fratelli  vecchi e nuovi che, nel rivedersi e nel fraternizzare negli incontri programmati,  hanno creato uno  straordinario e splendido contesto vivenziale. Dire  che il corso è stato coinvolgente è assai riduttivo e  non rende palesi gli sforzi programmatici a cui ci si è trovati a risolvere.





 C’è stata, in questa singolare esperienza, da parte di tutti i partecipanti una evidente volontà di migliorarsi e migliorare il movimento puntando su una evangelizzazione degli ambienti con la forza del "Gruppo" e convivere il fondamentale cristiano in un processo di conversione integrale e progressivo. Dietro a ogni innovazione necessitata dal mutato contesto di questa società giocano un ruolo particolare, anche se talvolta invisibile, la collaborazione, la conversazione e l'interazione. Nel dibattito simo stati  chiamati a fare una scelta  e le scelte rimandano ad un concetto di responsabilità personale, per cui fare una scelta ha in sé un'importanza particolare perché ha  delle conseguenze rilevanti per sé e per gli altri.

 


 Si sono dette tante cose giuste, tra l’altro: "così come siamo non possiamo raggiungere gli obiettivi pre-fissati”. Il desiderio di crescita, l’aspirazione personale può essere bloccata dalla presenza di traguardi  troppo grandi.  Nella presenza di aspettative eccessivamente elevate   la persona può non riuscire a mettere in atto quelle azioni che la porterebbero al raggiungimento del suo obiettivo. Allora dobbiamo fare qualcosa in più delle nostre possibilità. Ci dobbiamo provare, sicuri e confidando che un “gruppo” di fratelli e sorelle  che condividono un obiettivo comune possono raggiungere l’impossibile.”

Cristina Filetti

sabato 25 febbraio 2023

IMPARARE A SORRIDERE AL PROPRIO PEGGIO

 

OMELIA 1a domenica di Quaresima. Anno A 

Di don Paolo Scquizzato


Mt 4, 1-11





Gesù nel deserto non ci va di sua spontanea volontà, ma perché sospinto. Niente meno che dallo Spirito. Probabilmente Gesù avrebbe preferito un giardino, l’altra faccia del deserto. E qui nel deserto fa i conti con ciò che si è soliti chiamare male, negatività, ombra. Non che nei vari giardini quotidiani ciò non sia presente, ma tra distrazioni e rumori passa inosservato: un’invisibile presenza. Invece nel deserto, nel silenzio, nelle quiete il male oltre ad esserci si appalesa, non è più nascosto da nulla. E se ne fa esperienza.


Abbiamo bisogno di tempi di stacco, silenzio e di quiete per poter entrare in contatto con l’ombra, chiamarla per nome. Porsi faccia a faccia col male che ci portiamo dentro, darli un nome. E magari imparare sorridere al proprio peggio.

Altrimenti non si andrà da nessuna parte, sempre intenti a diventar migliori, più buoni, e in ultima analisi frustrati.

Vivere nel caos, nel rumore e nella fretta è surfare sulla superficie della vita illudendoci di stare in un giardino. Occorre ritirarsi e cominciare a silenziare l’’io’ e il ‘mio’. Silenziare la mente, ossia il commento e dunque il giudizio su ciò che è stato fatto, su ciò che capita ora, e su ciò che potrà succedere.

Ma come fare? Tutte le tradizioni spirituali invitano ad allenarsi, stare ed esperire il vuoto. Vivere il vuoto e non scappare. Semplicemente stare. Stare col vuoto alimentare (digiuno), col vuoto mentale (meditazione), quello affettivo o sentimentale.

Nel vuoto di sé, caduti gli appigli e gli appoggi, emergerà l’unica cosa necessaria: il proprio vero Sé, la matrice originaria che siamo.

Il problema è che ci portiamo dentro un ‘diavolo’ che lotterà sempre per separarci (dia-bolus = colui che separa). Farci credere che siamo altro dalla nostra natura autentica; che siamo i nomi che ci hanno dato, i titoli acquisiti, il denaro accumulato, gli affetti selezionati, le prestazioni erogate… Abbiamo perso il nostro vero nome, non sappiamo più chi diavolo siamo…

Questa è l’unica grande tentazione: farti credere d’essere ciò che non sei.

Pablo d’Ors dice che «Una tentazione non è altro che una distrazione biografica, così come una distrazione non è che una tentazione mentale».

Amare il deserto dunque per scoprire la nostra natura autentica, originaria, divina. Amare quel deserto soprattutto in cui si è condotti dalle circostanze della vita (lo Spirito) e non quello scelto dai noi, anche perché opteremo facilmente per uno a cinque stelle e vista mare.

lunedì 20 febbraio 2023

UN IMPASTO DI AMORE


Giorno 18 febbraio 2023 si è svolta una proficua riunione di Coordinamento del territorio 4 nella parrocchia San Michele Arcangelo in Mondragone (CE) 
presieduta dal coordinatore territoriale Alberto Cardone.

Era presente anche P. Luigi Arena componente del Consiglio Nazionale


La riunione prevedeva la consueta accoglienza, la recita delle lodi mattutine e a seguire l’intervento dell’animatore spirituale territoriale don Giuseppe Esposito, prima di trattare gli argomenti dell’ordine del giorno, dal titolo ”INPASTO DI AMORE E  PELLEGRINAGGIO DA COMPIERE INSIEME”.






L'incontro non poteva concludersi se non dopo il pranzo condiviso ed i consueti saluti



Mi soffermerò, per ragioni di spazio, solo parzialmente sull’intervento di don Giuseppe, affettuosamente chiamato don Peppino, riportando esclusivamente e testualmente la premessa, che sottintende l’analisi e la riflessione di tre argomenti di tutto rilievo: 1-L’inpasto di amore, 2-il pellegrinaggio da compiere, 3- la riconciliazione con Dio.

“Miei carissimi sorelle e fratelli, desidero aprire il cuore a voi, che mi state vicini con l’affetto e la preghiera oggi che inizia con il segno delle ceneri il tempo liturgico della Quaresima. Con le parole della liturgia, “in Lui(cioè in Cristo) morto < è redenta la nostra morte; in Lui risorto tutta la vita risorge”, desidero invitarvi alla riflessione. Guardando al più grande dono che il Creatore ci ha fatto: la “vita”. Oggi, più che mai, dopo questi anni difficili, oppressi dall’esperienza della precarietà e della provvisorietà ancora non riusciamo a valorizzare questo grande dono, che è il nostro essere, il nostro esistere e il nostro vivere con gli altri . Cari fratelli, la “Vita” è impasto di amore e pellegrinaggio da compire insieme.”

Luigi Majorca

sabato 18 febbraio 2023

OCCHIO PER OCCHIO

OMELIA VII domenica del Tempo Ordinario. Anno A di don Paolo Squizzato.


‘Occhio per occhio, dente per dente…’. La Legge antica esigeva che al male si rispondesse con un’azione uguale e proporzionata. Argine alla vendetta, ma non in grado di sconfiggere il male. Questo viene semplicemente restituito, non vinto.

Gesù osa far compiere un passaggio di soglia: il male non si vince con altro male, ma solo col bene, perché il male – come il bene – viene moltiplicato compiendolo. Lezione fatta propria dalla narrazione evangelica molto presto: “Non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma, al contrario, rispondete benedicendo; poiché a questo siete stati chiamati per avere in eredità la benedizione” (1Pt 3, 9); “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male” (Rm 12, 2); “Guardate che nessuno renda ad alcuno male per male; anzi cercate sempre il bene gli uni degli altri e quello di tutti” (1Ts 5, 15).


Su questa linea, Gesù invita a non opporsi al malvagio (v. 39). 



Al male sì, perché questo va sempre combattuto, ma non a chi fa il male in quanto prima vittima del male perpetrato e in quanto tale da amarsi ancora di più. Gesù ama il peccatore proprio perché odia il male.
La Legge richiedeva poi un’osservanza precisa e puntale. Ciò avrebbe reso giusto chi l’avesse ottemperata. Gesù invita a fare un passaggio oltre, e tendere ad una ‘giustizia superiore’. Adempiere non è tutto: ‘non uccidere’ – ad esempio – non basta.
Non è sufficiente limitarsi a ‘non togliere la vita’: ciò che conta è elargire vita, insufflarla in chi ci sta accanto.
Amare ‘gli amici’, non è sufficiente. Vivere l’accoglienza per quelli di ‘casa nostra’, è riduttivo. La questione è nutrire atteggiamenti di vita e fecondità, benevolenza e giustizia verso tutti. Proprio come fa il Padre dice Gesù, che fa piovere (elargisce benedizione) su tutti e fa splendere il sole su tutti, senza far preferenza di persone. Ama ‘a pioggia’, disinteressandosi su chi possa cadere il suo amore; scalda tutti, indipendentemente dal merito di ciascuno.
L’amore non sceglie, è scelto.
Tutto questo renderà ‘perfetti’, perché la perfezione – in senso evangelico – è cammino di umanizzazione, di compimento del proprio essere: processo di emersione e di fioritura del vero sé. E in questo modo si assomiglierà a Dio: si diventa divini per via di umanizzazione. Proprio come Gesù, che sul legno della croce ha portato alle estreme conseguenze la sua umanità, tanto da poter gridare: ‘Tutto è compiuto’.
È l’amore che fa compiere l’umano, che realizza, che porta a ciò che dovremmo essere: niente meno che divini.

martedì 14 febbraio 2023

CHIESA POPOLO DI DIO


 di Don Angelo Saraceno



Dio invita tutta l’umanità a diventare popolo di Dio. La missione della Chiesa di proclamare il Regno di Dio si fonda su questo invito. Sessant'anni fa, esattamente l’11 ottobre 1962, con l’apertura del concilio Vaticano II, è avvenuta una svolta per le nostre Chiese. 2.504 vescovi presenti hanno proposto un nuovo modo di essere Chiesa. Per la prima volta dopo molti secoli che era stata definita una società con autorità gerarchica, la Chiesa viene definita popolo di Dio. A questo concetto è stato dedicato tutto il secondo capitolo della seconda costituzione conciliare Lumen Gentium. I Padri conciliari erano consapevoli che adottando per la Chiesa la definizione di Popolo di Dio stessero andando oltre i confini della Chiesa cattolica. Come afferma la Fratelli tutti, la vocazione di essere popolo di Dio implica riconoscere come sorelle le altre Chiese cristiane e anche le altre religioni che camminano insieme nella costruzione della stessa fraternità universale. È fondamentale conoscere le nostre radici, custodire e ricordare il nostro passato per poter vivere il nostro presente. Come Chiesa Popolo di Dio se non sappiamo da dove veniamo, ignoriamo chi siamo e verso dove siamo diretti...rischiamo di non avere un’identità.


La Chiesa è di Cristo, Lui ne è il “capo” e lo Spirito la guida.



Noi Chiesa , suo popolo, siamo chiamati ad annunciare e testimoniare come l’incontro con una persona, Cristo Gesù , ha radicalmente cambiato la nostra vita: questo è il cuore dell’Evangelizzazione. Noi, tutti membra del corpo di Cristo, siamo chiamati ad essere “sale “che dà sapore e custodisce la vita; “ luce” che indica la strada verso la meta , ad ogni uomo; “ lievito “ che moltiplica, centuplica gli stessi gesti d’amore e di misericordia di Gesù che si è incarnato, che è morto e risorto per tutti.

Allora dobbiamo chiederci:

“Abbiamo maturato la coscienza di essere popolo di Dio che cammina insieme? -L’uomo di oggi, riesce a riconoscere Dio, nel Dio che noi, come Chiesa, presentiamo?

Dalla Catechesi di febbraio 2023

sabato 11 febbraio 2023

NON PIU' MEDIAZIONE.....

VI domenica del Tempo Ordinario. Anno A di Paolo Scquizzato 

 Mt 5, 17-37

«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento».
Gesù porta a compimento la religione antica dei suoi padri.
Ha creduto, come ogni ebreo, che il giudaismo fosse ‘via, verità e vita’. Ma col tempo imparerà a riconosce i limiti di un sistema che separa i giudei dai non-giudei, che ritiene che il proprio Dio sia l’unico e vero; e che per farne esperienza occorra passare attraverso la mediazione dei profeti, e quindi dei sacerdoti, di un tempio, della religione stessa insomma.

Sarà col battesimo che Gesù compirà un vero e proprio passaggio di soglia: dal grembo della religione all’esperienza im-mediata di Dio. Deflagrazione della consapevolezza: scopre d’essere figlio.
Non più mediazione dunque: religione come via, verità e vita, ma ‘Io e il Padre siamo Uno’. Per questo potrà finalmente affermare: ‘Io sono la via, la verità e la vita, in quanto io sono nel Padre e il Padre è in me.’ Non c’è più un’istanza mediatrice esterna che mi dica cosa fare o non fare, cosa è lecito o illecito. Ora posso decidere – in coscienza – in ogni istante cosa fare o non fare; sono libero dal passato, e libero per il futuro. Sono uno col Padre che è Uno.
Ma la cosa straordinaria è che questa esperienza di essere nell’Uno, la possiamo fare tutti! Questa è la libertà dell’essere umano: tutti possiamo dire

‘Io sono la via, la verità e la vita’, in quanto partecipiamo della medesima natura divina: «Chi si unisce al Signore forma con lui un solo Spirito’ (1Cor 6, 17). Impastato di divino, posso agire ‘da Dio’, senza l’ausilio di mediazioni esterne vendute come ‘volontà di Dio’, a patto che mi distacchi da ciò che impedisce alla mia natura autentica – quella divina appunto – di esprimersi, ossia dal ‘mio’ e dall’’io’.

«Il vostro parlare sia “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno» (v. 37).
Presa consapevolezza di essere uno nell’Uno, una cosa sola col divino, allora divengo cosciente che di ciò che accadrà nella vita nulla sarà fuori da questa realtà.
Arnaud Desjardins rilegge il v. 37 così: ‘dite: ciò che è è, e ciò che non è non è. Il resto viene dal mentale’.
Insomma, la questione è stare con ciò che è, con la vita nella sua interezza, luminosa o tenebrosa che sia, riconoscere quello che è.
‘Non quello che dovrebbe essere, ma quello che è’ (Swami Prajnanpad).
Ciò che ci fa soffrire è il mentale che si sovrappone alla realtà: ‘dovrebbe essere così, o cosà’. ‘Non posso accettare quanto sta accadendo’.
No, il mentale è il maligno che sovrapponendosi alla realtà porta a rifiutare quello che è, e a vivere di emozioni. E di sogni. Ma anche di rabbia e frustrazioni. Questo non significa tollerare, o peggio, subire. Ma fare i conti con la realtà al netto del mentale, e agire di conseguenza, migliorando la situazione laddove sarà possibile.

UN DONO DA COLTIVARE

 

Ai nuovi amici del 55° Cursillo Uomini


Durante i tre giorni del Piccolo Corso avete fatto amicizia con fratelli che non conoscevate. Questo è un dono regalatovi da coltivare, perchè l’amico é colui che in ogni momento è in grado di aiutarvi, sia fisicamente che moralmente. L’amico mantiene i vostri segreti e non tradisce il valore dell’amicizia. 



I rapporti di amicizia passano sovente per il gruppo
, dove  si vivono importanti e decisive esperienze che restano indimenticabili e contribuiscono alla crescita di ciascuno di voi. Per questo vi invito a formare i vostri “Gruppi”



Rientro del 55° Uomini


Un contributo ve lo regala  S.E. XMario Russotto, cursillista e già Vescovo di Caltanissetta sul tema dell’Amicizia trattato a Perugia nel 2010
“De Colores! Trentatre anni or sono  ho partecipato al 15° Cursillos uomini della diocesi di Ragusa. Ero giovane seminarista e collaboravo con don Francesco Vicino nella pastorale dei detenuti presso il carcere di Ragusa. Da allora, pur nelle diverse vie sulle quali il Signore ci fa camminare, la nostra amicizia ha mantenuto vivi i suoi colori…..  (omissis)

La terra dell’amicizia

L’amicizia deve essere riportata al cuore, al cuore delle cose quotidiane, delle cose che tocchi: l'amico, l'amica, gli amici li tocchi con la vita. Rinunciare all’amicizia significa rinunciare alla crescita della personalità umana e cristiana, all’equilibrio psicologico, affettivo e spirituale che da essa per buona parte deriva: chi manca di amici è una persona a rischio! Tutti, infatti, abbiamo bisogno di “sponde” su cui l’“onda” del mare della nostra vita possa riversarsi.




«In questa convivenza umana assai colma di errori e di sofferenze – ha scritto Sant’Agostino – ci confortano soltanto la fede non simulata e la solidarietà dei veri amici». Il mondo, infatti, si stupirà solo davanti ad un’amicizia radicata in Dio e davanti ad una Chiesa di amici che camminano insieme… più di fratelli e sorelle di sangue.
 

Gesù stesso ha vissuto in pienezza l’amicizia, un’amicizia che non si è fermata a Betania ma si è spinta fino alla morte. Perché l’amore più grande è dare la vita per i propri amici. ….. (omissis) Nel disegno di Dio per l'umanità l’amicizia ha un ruolo fondamentale. E il Signore stesso ha dato delle istruzioni a suo riguardo: «Due valgono più di uno solo, perché sono ben ricompensati della loro fatica. Infatti, se l‘uno cade, l'altro rialza il suo compagno; ma guai a chi è solo e cade senz'avere un altro che lo rialzi!» (Sir 4,9-10). Ecco perché Gesù mandò i suoi discepoli a due a due, senza cose ma ciascuno con l’altro per amico. Solo un bastone… per appoggiarvi la stanchezza… e un amico… per appoggiarvi il cuore.

















È importante mantenere l'amicizia viva e forte. Le qualità dell‘amicizia che richiedi dal tuo amico, devi sforzarti di averle prima tu. Sforzati di essere fedele, disponibile, paziente, affettuoso, buon ascoltatore. I tuoi amici apprezzeranno queste qualità in te. Ascoltare è la qualità dell’amicizia: «L'olio e il profumo rallegrano il cuore; così fa la dolcezza d'un amico con i suoi consigli cordiali» (Prov 27,9). Spesso ascoltare un amico, senza dargli consigli, è il modo migliore per aiutarlo. In molti casi ciò è proprio quello di cui gli amici hanno bisogno: avere qualcuno che li ascolti e stia loro vicino. Ricordati che un vero amico può aiutarti nel giorno del bisogno, più di tuo fratello o di tua sorella: «Non abbandonare il tuo amico né quello di tuo padre; e quando ti capita una disgrazia, non chiamare in aiuto tuo fratello: un amico vicino può aiutarti meglio di un fratello lontano» (Prov 27,10). E ancora: «Un amico ti ama in ogni circostanza, è un fratello nel giorno dell'avversità» (Prov 17,17).”

Tratto dalla Relazione tenuta da S.E. Mario Russotto alla Convivenza Nazionale di Studio del Cursillos de Cristianidad .Perugia, 30 luglio 2010

mercoledì 8 febbraio 2023

LA CHIESA

 

SACRAMENTO UNIVERSALE DI SALVEZZA

Di Don A. Saraceno

Nei precedenti incontri abbiamo visto come la Chiesa affondi le sue radici, nella storia del popolo di Dio raccontata nell’Antico Testamento. 



Adesso, scopriremo come la Chiesa abbia un ruolo determinante nel piano salvifico di Dio, realizzato da Gesù Cristo.  Quante volte sentiamo dire: “Credo in Dio, in Gesù Cristo, ma non nella Chiesa” Se molti si esprimono in questi termini, forse, è perché vivono un cristianesimo ideologico, di superficie, puramente basato su un’etica, una morale, che sicuramente il Vangelo annuncia, ma che non è certamente fede nell’opera di Dio, che è la Chiesa! Anzi è il rifiuto del progetto di Dio, come già Adamo ed Eva avevano fatto, quando hanno rifiutato il rapporto, la relazione che deve esserci tra Creatore e creature.

Gesù Cristo è l’unico salvatore e mediatore che ci riporta alla relazione, alla comunione con il Padre. La Chiesa è strumento di salvezza.

(55 cursillo Uomini) 

La Chiesa siamo noi! La Chiesa è quel corpo di cui Cristo ha bisogno per trasmettere la fede… Siamo noi le membra del corpo di Cristo e Lui ne è il Capo! Come portiamo avanti la missione che Gesù ci ha affidato? Evangelizzare!!! Magistero della Chiesa. La Chiesa esiste per evangelizzare (Evangelii Nuntiandi 14) cioè per rendere presente ed operante la salvezza di Cristo Gesù in tutti i tempi ed in ogni luogo. Questo è precisamente il compito della Chiesa, la sua identità e la sua missione.

Scrive S. Paolo “La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la Parola di Cristo” (Rom 10,11- 17) “E’ piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione” (1Cor 1,21) Magari qualcuno dice: “Io credo in Dio, approvo tutto quello che c’è scritto nel Vangelo, partecipo a tutte le celebrazioni, ma non mi devi chiedere di evangelizzare perché proprio quella non è la mia vocazione”. Quante volte diciamo: “Ma io non so parlare! - Non sarai tu a parlare, ma è lo Spirito che hai ricevuto con il battesimo che parlerà per te… “Lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto” (GV 14,23-29).

(Dalla 8 catechesi di don A. Saraceno)

martedì 7 febbraio 2023

I GERMOGLI DELLA CHIESA


IL VOLO DI UNO STORMO DI OCHE

 di don A. Saraceno  




L’immagine che in quest’anno pastorale ci sta accompagnando è quella del volo di uno stormo di oche, che è diventato per noi simbolo di unione che costituisce la nostra forza sia nel caso in cui cerchiamo di portare avanti un progetto, un obiettivo, …sia quando abbiamo bisogno di un sostegno per rialzarci in un momento difficile del nostro cammino. Quel modo di volare, di camminare insieme ci ha insegnato che questo è essere Chiesa. Abbiamo parlato che la chiesa fonda le proprie radici già nell’ Antico Testamento perché essa ha sempre fatto parte del piano di Dio. Dio infatti fonda la Sua Chiesa perché è di essa che si vuole servire per instaurare il Suo Regno sulla terra. Attenzione però, al primo posto nel progetto di Dio c’è l’instaurazione del Suo Regno e non della Chiesa, quest’ultima infatti viene fondata affinchè fosse al servizio del Regno di Dio. Parliamo di “Germogli della Chiesa”: letteralmente “germogliare” significa “sorgere, avere origine”.

Una pianta ha origine da una gemma dalla quale è inseparabile. 




Per la chiesa quella “gemma è Cristo” da cui essa prende origine, sorge e quindi come non si può concepire una pianta senza la sua gemma così NON SI PUO’ CONCEPIRE LA CHIESA SENZA CRISTO. A questo punto, se la chiesa è formata da ognuno di noi, allora quella gemma, che è Cristo, è dentro di noi. Ma è così veramente? Non è detto che da un germoglio nasca una pianta bella e forte: se esso non è ben curato può anche morire. Gli Apostoli, quel germoglio (che è la chiamata di Cristo) hanno deciso di curarlo, hanno creduto in quel germoglio e hanno deciso di portare avanti la missione a cui erano stati chiamati ed è proprio grazie a loro se ancora oggi si parla di Gesù Cristo. Credere il quel germoglio vuol dire avere fede: noi siamo sicuri di avere una fede con delle radici profonde ben attecchite? Se è così la nostra chiamata è fondamentale in qualità di continuatori di quella missione.

(Estratto dalla settima catechesi 2023)

sabato 4 febbraio 2023

IL SALE

 

Don Paolo Squizzato


OMELIA V domenica del Tempo Ordinario. Anno A 




Mt 5,13-16

Il sale nell’antichità veniva posto come antisettico e antidolorifico sulle ferite.
Il profeta Isaia scrive: «Se tu dividerai il pane con l’affamato, introdurrai in
casa i miseri, i senza tetto, vestirai uno che vedi nudo, allora la tua ferita si
rimarginerà presto» (Is 58, 8).
Interessante: la cura dell’altro, il risollevarlo dal fango e dal non senso, guarisce le nostre ferite. Chi di noi non si porta dentro piaghe esistenziali, magari inferteci dall’infanzia o provocateci da amori sbagliati, delusioni, e tanto dolore arrecato e subìto? Ebbene, il vangelo di oggi ci indica la strada per poter rimarginare queste ferite: il sale – il balsamo dell’amore – versato sulle ferite dell’altro, rimargina le nostre.


Se non diamo sapore alla vita altrui, perdiamo il gusto della vita; precipitiamo
in una storia dove tutto è insipido, scialbo e triste. Senza idealismi però, perché
sappiamo bene che l’amore per l’altro alla fine ci brucerà dentro, proprio come
il sale sul vivo di una ferita.
«Voi siete la luce del mondo» (v. 14). È ancora Isaia a ricordarci cosa vuol dire,
concretamente, essere luce del mondo. «Se toglierai di mezzo a te
l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane
all’affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce,
la tua tenebra sarà come il meriggio» (vv. 9-10).
Saremo luminosi, solo se cominceremo ad illuminare gli altri. Se non lo
facciamo, ci spegniamo anche noi.
Il bene fatto all’altro alimenta la nostra lampada.
Nella Chiesa primitiva, i battezzati venivano chiamati gli ‘illuminati’, perché
impregnati di Cristo, la luce. Ebbene, siamo stati ‘illuminati’ solo per far uscire
dal buio i fratelli.
Una vita nell’oscurità dell’egoismo, giocata sotto un secchio (moggio nel
vangelo) è destinata a spegnersi. Una vita consumata nell’ombra, nel
nascondimento del proprio vivere quieto, incentrato su di sé, alla fine si
spegnerà nell’insignificanza.
Gesù mostra che la vita che illumina il mondo intero e dà sapore alla storia è
quella che è in grado di amare sino alla fine, quella in grado di salire su quel
candelabro che è la croce (v. 15).
Una vita che è ‘venuta alla luce’, ma che poi non s’alimenta dell’olio dell’amore
facendo così luce a tutti coloro che stanno intorno, si spegnerà presto,
divenendo morta anche se detta vivente.