giovedì 21 marzo 2024

UN PADRE DI NOME GIUSEPPE

 



 di Lorenzo Verrando




Cari amici, vorrei condividere con voi ancora una volta la mia riflessione, meglio direi una chiacchierata sulla figura di San Giuseppe. Noi abbiamo appena festeggiato nella ricorrenza della sua festa anche la festa del papà, di tutti i papà – anche i nonni sono dei papà, un po’ stagionati, ma papà – e per questo la figura di Giuseppe risplende nella tenerezza e nell’amore verso quel Figlio che gli è stato affidato in custodia da Dio.

Dopo i racconti dell’infanzia di Giuseppe non si sa più nulla, i Vangeli non dicono più niente su di lui se non di sfuggita, per inciso.

Se rileggiamo i Vangeli con attenzione e con meditazione potremo leggere ciò che non è scritto. Come è possibile? Mi direte. Ebbene è possibile facendo meditazione e deduzione soffermandoci a riflettere.

Se mi perdonerete le mie divagazioni forse un po’ fantasiose, cercherò di chiarire. La figura di Giuseppe come un padre amoroso, tenero, premuroso ce la descrive Gesù stesso senza menzionarlo direttamente. Gesù nella sua formazione, da bambino, ragazzo e poi adulto ha conosciuto in Giuseppe il suo papà, “abbà” lo chiamava lui. Possiamo immaginare Giuseppe che prende per mano il bambino e lo porta orgoglioso nella piazza del villaggio, lo vede correre e saltare coi compagni di gioco, gli pulisce i ginocchi sbucciati quando cade e gli asciuga le lacrime.

Poi lo vede crescere, ragazzo, gli insegna il mestiere che conosce, vanno insieme nel piccolo podere a coltivare le viti, gli insegna a potare per avere più frutti; gli insegna a seminare: “Attento a non spargere il seme fuori del campo, perché il seme non vada tra i sassi, in mezzo ai rovi, ma vada nel terreno buono. Vedi Gesù, quando il seme va sottoterra, muore, ma così darà molto frutto”. Gli fa vedere gli uccelli che volano in cielo e i fiori dei campi, che sono nutriti e vestiti da Dio che li ha creati. Gesù impara, queste parole gli torneranno in mente e questi insegnamenti di vita terrestre saranno da lui trasfigurati in parole di vita eterna.

Gesù parlerà di Dio in tante figure: un Re, un ricco signore, proprietario terriero, un giudice, ma quando deve raffigurare la tenerezza, l’amore e il perdono lo presenta come un padre, di cui ha conosciuto la tenerezza e l’affetto.

Qualche esempio: un papà che, svegliato nel cuore della notte da un amico che gli chiede un favore, dapprima si secca, ma poi vista l’insistenza si alza e lo accontenta.

Oppure il papà che al figlio che gli chiede la merenda gli da un pane e un uovo, per vederlo crescere bene.

Ma la figura di padre più bella Gesù ce la da nella famosa parabola del Padre misericordioso, in particolar modo al ritorno del figlio che era stato perduto e infine ritrovato. In quell’abbraccio stretto e pieno d’amore che a Gesù ricordava lo stesso abbraccio che egli stesso aveva sentito da papà Giuseppe, a dodici anni, nel Tempio di Gerusalemme quando dopo tre giorni di angosciosa ricerca fi ritrovato. Maria accennò ad un rimprovero, ma Giuseppe no. Possiamo immaginare quel padre che con le lacrime di gioia agli occhi stringe quel figlio, accarezzandolo, baciandolo come solo un papà amorevole sa fare. E se lo portò a casa e Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Questo è il Giuseppe che amo pensare, un papà come era il mio, come i vostri papà, uomini a volte dalla scorza un po’ ruvida, di non molte parole, ma dal cuore tenero e gonfio d’amore.


 


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