Si è dovuto aspettare il V secolo per veder
sorgere e svilupparsi, a partire da Gerusalemme, il culto della Madonna.
Già nel IV secolo invece
- dunque un secolo prima - il culto di Giovanni Battista era così diffuso da potersi ritenere universale.
- dunque un secolo prima - il culto di Giovanni Battista era così diffuso da potersi ritenere universale.
Il popolo ha tributato a questo santo una
venerazione straordinaria. È il più raffigurato nell'arte di tutti i secoli;
non c'è pala d'altare, non c'è gruppo di santi in cui non compaia, rivestito
con la caratteristica pelle di cammello, la cintura attorno ai fianchi e con in
mano un bastone che termina a forma di croce.
Sono innumerevoli le diocesi di cui è patrono,
i santuari e le chiese che gli sono dedicati, a cominciare dalla «madre di
tutte le chiese», San Giovanni in Laterano, fondata da Costantino.
Giovanni - tradotto in tutte le lingue - è il
nome più comune al mondo; è stato dato anche molte a città e paesi (128 in
Italia, 213 in Francia).
Il Battista è amato anche dai musulmani che gli hanno
intitolato la celebre moschea omaiade di Damasco, simbolo
del dialogo interreligioso.
Come si spiega questa simpatia?
Il Battista non è rinomato come facitore di
miracoli -
è questa, in genere la prerogativa che rende popolari i santi —; chi vuole
ottenere grazie non ricorre a lui, ma a più validi intercessori. Sono dunque
altre le ragioni di tanta devozione.
Il primo motivo è certamente l'elogio che
di lui ha fatto Gesù: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una
canna sbattuta dal vento? Che cosa dunque siete andati a vedere?
Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro
che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re!
E allora, che cosa siete andati a vedere? Un
profeta? Si, vi dico, anzi, più di un profeta. Vi assicuro: tra i
nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista» (Mt 11,7-11).
Poi, nella gente semplice hanno suscitato
ammirazione la sua austerità di vita e il suo coraggio di non piegare il capo
di fronte ai potenti: a costo della vita, ha difeso la verità e la giustizia.
Va detto infine che furono soprattutto i monaci
che resero popolare la sua figura. A partire dall'inizio del IV secolo, essi
popolarono il deserto di Giuda dove il Battista aveva trascorso la sua vita. Lo
consideravano uno di loro, un modello di vita ascetica, per questo ne diffusero
il culto.
La scelta del giorno della sua festa —
celebrata, fin dal tempo di sant'Agostino, il 24 giugno — è legata
al solstizio d'estate(21 Giugno), al giorno in cui il sole,
giunto al suo zenit, comincia a calare lungo l'orizzonte.
Ai credenti il ridursi della luce solare ha richiamato la
disponibilità del Battista a scomparire, a cedere il posto
a chi era più grande di lui. Dopo aver riconosciuto in Gesù 2
l'atteso messia, egli ha
confidato ai suoi discépoli: «Ora la mia gioia è completa. Egli deve
crescere e io invece diminuire» (Gv 3, 29-30).
o Per interiorizzare il
messaggio, ripeteremo:
Grande è colui che sa farsi da
parte
dopo aver svolto la sua
missione
Prima lettura (Is 49,1-6)
1Ascoltatemi, o isole,
udite attentamente, nazioni
lontane;
il Signore dal seno materno mi
ha chiamato,
fino dal grembo di mia madre
ha pronunziato il mio nome.
2Ha reso la mia bocca come
spada affilata,
mi ha nascosto all'ombra della
sua mano,
mi ha reso freccia appuntita,
mi ha riposto nella sua
faretra.
3 Mi ha detto: «Mio servo tu
sei, Israele,
sul quale manifesterò la mia
gloria».
4 Io ho risposto: «Invano ho
faticato,
per nulla e invano ho
consumato le mie forze.
Ma, certo, il mio diritto è
presso il Signore,
la mia ricompensa presso il
mio Dio».
5Ora disse il Signore
che mi ha plasmato suo servo
dal seno materno
per ricondurre a lui Giacobbe
e a lui riunire Israele,
- poiché ero stato stimato dal
Signore
e Dio era stato la mia forza -
6mi disse: «E’ troppo poco
che tu sia mio servo
per restaurare le tribù di
Giacobbe
e ricondurre i superstiti di
Israele.
Ma io ti renderò luce delle
nazioni perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della
terra.
«Servo del Signore»
è il titolo di sommo onore che l'Antico Testamento riserva ad alcune figure
eminenti della storia d'Israele, a Mosè, a Samuele, a Davide, ai profeti, a
quegli uomini di Dio che hanno messo la loro vita a completa disposizione del
Signore.
Nella seconda parte del libro
di Isaia viene introdotto un personaggio misterioso, anonimo, al quale i
biblisti hanno dato il nome di servo del Signore perché, quando
Dio parla di lui o gli rivolge la parola, lo chiama mio servo,
lo considera il servo per eccellenza, l'uomo che più di ogni
altro gli è fedele.
Il brano di oggi si apre con
il monologo di questo «servo» che esordisce in modo solenne, si
rivolge a una platea immensa, alle isole del Mediterraneo: «Ascoltatemi, o
isole, udite attentamente, nazioni lontane» (v. 1). Dirige il suo messaggio a
tutti i popoli che abitano le terre che si affacciano sul «grande Mare».
L'opera cui sta per dare
inizio non ha origine da una sua pensata, è la risposta alla vocazione che ha
ricevuto dall'alto (v. 1). Com'era accaduto a Geremia (Ger 1,5) — e come nel
Nuovo Testamento capiterà al Battista (Lc 1,15) e a Paolo (Gal 1,15) — Dio lo
ha scelto fin dal grembo materno e gli ha spiegato che, nello svolgimento della
sua missione, non avrà a disposizione altra arma e non potrà contare su altra
forza all'infuori della parola (v. 2).
'
Nulla è più debole della
parola — vibrazione inconsistente, suono che scompare senza lasciare nell'aria
alcuna traccia — ma il Signore gli ha promesso di renderla efficace come spada
affilata che colpisce chi è vicino e come una freccia appuntita che non lascia
scampo nemmeno a chi si ritiene invulnerabile perché lontano. 3
Non ha iniziato subito a
svolgere il compito affidatogli, c'e stato un periodo di attesa, un tempo in
cui il Signore lo ha preparato tenendolo nascosto, come un'arma nella sua
faretra, come pugnale nella sua mano.
Ci chiediamo: chi è questo
«servo»?
Il v. 3 sembra identificarlo
con un popolo, con Israele che — quando fu pronunciato l'oracolo — si trovava
in terra straniera, a Babilonia, convinto ormai che la missione che il Signore
gli aveva affidato si fosse conclusa con un fallimento.
Come il popolo, anche il «servo»
confessa la propria delusione: «Invano ho faticato».
Apparentemente almeno, tutti i miei sforzi sono stati vani (v. 4).
Dopo un rapido richiamo alla
vocazione «dal seno materno», entra in scena il Signore che si rivolge al suo «servo»
— che qui è chiaramente inteso come persona singola — e, invece di invitarlo a
rassegnarsi per il precedente insuccesso, gli rinnova l'incarico di «riunire
Israele», cioè, di ricondurre a lui i regni divisi del nord e del
sud. Poi gli assegna un nuovo compito, immensamente più impegnativo: «Io ti
renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità
della terra» (vv. 5-6).
Come si può affidare
un'impresa cosi straordinaria a uno che non è riuscito nel precedente tentativo
di «riunire Israele»? Eppure — dice il profeta — è proprio attraverso di lui
che il Signore «manifesterà la sua gloria» (v. 3).
Non sapremo mai a chi pensava
il profeta quando pronunciò questo vaticinio. Ma oggi noi siamo in grado di
identificare colui che ha realizzato la profezia: è Gesù di Nazareth.
È, lui il «servo»
che, per più di trent'anni, nel nascondimento, si è
preparato alla sua missione, che per tre anni ha cercato invano di
«riunire Israele», «come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali»
(Mt 23,37) e che ha concluso i suoi giorni su una croce, come uno schiavo, schiacciato
dai poteri di questo mondo.
La sua storia sembrava
conclusa per sempre quando, all’ingresso del suo sepolcro, è stata fatta
rotolare una enorme, inamovibile pietra.
Invece, da quella tomba Dio ha
fatto uscire la vita, la luce e la salvezza che
raggiungeranno tutte le nazioni, «fino alle estremità della terra».
Come il «servo del
Signore», anche il Battista è stato scelto fin dal grembo di sua madre
ed è stato riempito della forza di Dio (Lc 1,15). Aveva una missione importante
da svolgere: preparare la strada al servo che doveva essere la
luce delle genti.
Come lui, ogni uomo ha,
fin dal seno materno, una vocazione, un'identità da realizzare: quella che
dall'eternità è nel cuore di Dio.
Chi la accoglie si inserisce
nei suoi disegni, diviene suo servo; chi si inventa altri
progetti si colloca ai margini della storia: della sua opera non rimarrà nulla
nel mondo nuovo che il Signore sta realizzando.
Essere devoti del Battista
significa interiorizzare la sua fedeltà, imitare il suo coraggio e la sua
umiltà nel realizzare l'opera che gli è stata affidata.
Seconda lettura (At 13,22-26)
22 Dopo aver rimosso Saul dal
regno, Dio suscitò per loro come re Davide, al quale rese questa testimonianza:
Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà
tutti i miei voleri. 23 Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio
trasse per Israele un salvatore, Gesù.
24 Giovanni aveva preparato la
sua venuta predicando un battesimo di penitenza a tutto il popolo 4 d'Israele.
25 Diceva Giovanni sul finire della sua missione: Io non sono ciò che voi
pensate che io sia! Ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di
sciogliere i sandali.
26Fratelli, figli della stirpe
di Abramo, e quanti fra voi siete timorati di Dio, a noi è stata mandata questa
parola di salvezza.
Siamo ad Antiochia di Pisidia,
nell'Asia Minore, durante il primo viaggio missionario.
In giorno di sabato, Paolo -
che è andato alla sinagoga per partecipare alla liturgia della Parola - dopo le
letture è inviato a parlare.
Si alza, fa un cenno con la
mano e pronuncia un lungo discorso.
Comincia presentando le opere
compiute dal Signore in favore del suo popolo: la liberazione dall'Egitto, i quarant’anni
nel deserto, la conquista della terra promessa, la scelta del primo re, Saul.
A questo punto inizia la
nostra lettura.
Saul fu infedele (e forse
Paolo lo ammette a malincuore, perché questo re apparteneva alla sua stessa
tribù - la tribù di Beniamino - e anche perché ne aveva ereditato il nome) e
allora Dio scelse Davide, il sovrano ideale, il fedele esecutore della sua
volontà, la figura del Messia. Dalla sua discendenza Dio, secondo la promessa,
ha tratto per Israele il salvatore, Gesù.
Qui Paolo introduce la figura
del Battista - del quale parla abbastanza diffusamente - perché egli è l'ultimo
dei profeti, si trova alla fine dell'epoca dell'attesa e segna l'inizio del
compimento delle promesse (vv. 24-25).
Della sua opera di precursore
vengono richiamati alcuni momenti essenziali.
Anzitutto la predicazione di
un battesimo di conversione. A «tutto il popolo d'Israele» egli ha rivolto
l'invito a cambiare modo di pensare e di agire per essere coinvolti nella
salvezza che il Messia stava per recare.
Poi la sua decisione nel
dissipare ogni equivoco sulla sua persona: «Io non sono ciò che voi pensate che
io sia».
Infine la testimonianza in
favore di chi è più grande di lui.
Ha qualcosa da insegnare a noi
oggi la figura di questo «servo fedele» che ha stupito anche Paolo? La risposta
la troviamo nell'ultimo versetto della lettura: «Fratelli, figli della stirpe
di Abramo, e quanti fra voi siete timorati di Dio, a noi .è stata mandata
questa parola di salvezza» (v. 26).
È «sul finire della sua
missione» - dichiara Paolo (v. 25) - che il Battista è arrivato a cogliere il
senso del compito che era chiamato a svolgere. Il cammino di conversione che ha
proposto agli altri lo ha dovuto percorrere lui per primo.
Anch'egli — come tutti — è
stato prima colto da dubbi, ha avuto perplessità, è
rimasto sconcertato dal messaggio innovatore e dal comportamento
inatteso del giovane maestro di Nazareth. Un giorno gli ha persino
inviato alcuni suoi discepoli per chiedergli: «Sei tu colui che deve venire o
dobbiamo aspettarne un altro?» (Lc 7,19).
Poi ha capito, ha
cambiato i propri criteri di giudizio e lo ha riconosciuto come il
Messia di Dio, come colui al quale non era degno di sciogliere i sandali.
Chiunque voglia riconoscere il
vero Messia di Dio è chiamato a intraprendere il cammino di conversione che il
Battista ha percorso.
Vangelo (Lc
1,57-66.80)
57 Per Elisabetta intanto
si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. 58 I vicini e i
parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si
rallegravano con lei.
59 All’ottavo giorno vennero
per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre,
Zaccaria. 60 Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni. 61
Le dissero: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo
nome». 62 Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si
chiamasse. 63 Egli chiese una tavoletta, e scrisse: Giovanni è il suo
nome». Tutti furono meravigliati. 64In quel medesimo istante gli si aprì
la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. 65 Tutti i loro
vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si
discorreva di tutte queste cose. 66 Coloro che le udivano, le serbavano in cuor
loro: «Che sarà mai questo bambino?» si dicevano. Davvero la mano del Signore
stava con lui.
80Il fanciullo cresceva e
si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua
manifestazione a Israele.
Quante promesse hanno fatto i
profeti!
Nei momenti difficili della
storia d'Israele, quando il popolo era oppresso, deluso e scoraggiato, qualcuno
di loro, in nome di Dio, pronunciava sempre parole di consolazione e di
speranza, annunciava imminente la liberazione, prometteva un'era nuova.
I loro vaticini, custoditi
devotamente nei Libri santi, erano letti e meditati soprattutto quando gli
eventi della storia ponevano a dura prova la fede, quando poteva insinuarsi
dubbio che il Signore si fosse dimenticato delle sue promesse.
Israele ha continuato a «ricordare»
e ad attendere. «Ricordava» per avere la forza di persistere
nella fede, per continuare a credere nella fedeltà del suo Dio.
Il vangelo di oggi presenta
l'evento che ha segnato l'aurora del nuovo giorno, il passaggio fra il tempo
del «ricordo» delle promesse e il tempo della loro realizzazione.
Nella prima parte (vv.
57-58) è narrata la nascita del Battista.
Chiunque contempli lo
sbocciare di una nuova vita rimane affascinato dalle meravigliose leggi della
natura che presiedono alla nascita di un bimbo.
Credente e non credente condividono
questo stupore, ma il credente non si limita a godere di questo incanto, va
oltre e si interroga sul senso di ogni nascita, si chiede quale mente sublime
abbia programmato questo evento e quali sogni coltivi su ogni creatura.
Luca è un credente, scrive
cinquant'anni dopo i fatti ed è in grado di valutare, alla luce dello Spirito,
il ruolo che la figura del Battista ha avuto nella storia della salvezza.
Ricorda la sua nascita e la
interpreta come un atto di «misericordia» del Signore nei
confronti di Elisabetta.
Cosa significa «misericordia»
e chi erano i destinatari della grazia concessa da Dio a Elisabetta? Solo una
coppia di sposi amareggiati?
Con il termine «misericordia»
la Bibbia non intende la compassione di Dio per persone indegne e
spregevoli, ma indica le sue attenzioni, suo tenero amore per
chiunque abbia bisogno del suo aiuto.
Nel grembo infecondo di
Elisabetta l'evangelista vede raffigurata la sterilità d'Israele e la
condizione di morte in cui giace l'intera umanità. Situazioni disperate da cui,
senza un intervento dall'alto, non è possibile che germogli la vita.
I profeti hanno previsto
questo intervento fecondante di Dio e hanno invitato a gioire: «Esulta, o
sterile che non hai partorito, prorompi in grida di giubilo e di gioia» (Is
54,1).
Nella nascita del Battista,
Luca scorge l'inizio della realizzazione di questa profezia e, fin dalla prima
pagina del suo vangelo, introduce il tema della gioia. Sulla bocca dell'angelo
pone la promessa a Zaccaria: «Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno
della sua nascita» (Lc 1,14) e ricorda la gioia che ha coinvolto genitori,
parenti, vicini e gli abitanti della regione montuosa della Giudea al momento
del parto di Elisabetta.
Quando Dio entra nella storia
dell'uomo porta sempre vita e gioia.
La parte centrale della
lettura (vv. 59-66) sviluppa il tema del nome del
bambino: «All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo
col nome di suo padre, Zaccaria».
Sorprende che Luca voglia far
coincidere il momento della circoncisione con l'imposizione del nome.
Sottolineerà questa pratica anche per Gesù (Lc 2,21). Eppure non risulta che
fosse questo l'uso in Israele dove il nome veniva dato al momento della
nascita, non otto giorni dopo (Gn 4,1; 21,3;25,25-26).
Stupisce anche il fatto che
parenti e vicini vogliano chiamare, il bambino con il nome di suo padre,
Zaccaria. La tradizione era di dare il nome del nonno, non del padre.
Pare quindi che Luca, più che
riferire un fatto - in sé alquanto marginale - sia interessato a rilevare che,
per il Battista, il nome «Zaccaria» non è adatto.
Cominciamo a cogliere il
motivo per cui l'evangelista accosta circoncisione e imposizione
del nome.
La circoncisione è
il segno dell'appartenenza al popolo dell'alleanza. Con questo rito si entra a
far parte di Israele e si diviene eredi delle promesse che Dio ha fatto ad
Abramo e alla sua discendenza. All'ottavo giorno, dunque, il Battista diviene
un israelita, come suo padre.
È a questo punto che acquista
importanza il nome che riceve perché, presso i popoli dell'antichità, il nome
indicava la persona, la sua condizione, le sue qualità, il suo destino.
«Zaccaria»
significa «Dio si è ricordato» o «Dio ricorda» le
sue promesse.
È il simbolo di Israele che
lungo i secoli ha continuato a trasmettere di padre in figlio «il ricordo»
delle profezie, senza mai vederne l'attuazione.
Ora diviene chiara la ragione
per cui il Battista non può essere chiamato «Zaccaria».
Nel momento in cui diviene
membro del popolo d'Israele non dà semplicemente continuità alla stirpe e alla
tradizione di suo padre - come pensano parenti e vicini che non hanno avuto la
rivelazione del cielo - ma segna l'inizio della nuova epoca.
È finito il tempo del ricordo
delle promesse; per l'umanità è spuntato il nuovo giorno in cui le
profezie si compiono.
A Zaccaria l'angelo ha
indicato il nome voluto da Dio, «Giovanni» (Lc 1,13) che
significa «Il Signore ha fatto grazia, ha manifestato la sua bontà, la
sua benevolenza».
Nel tempio Zaccaria era
rimasto muto. All'uscita dal santuario dove aveva ricevuto l'annuncio della
nascita di un figlio, era incapace di pronunciare la benedizione.
Ora gli si aprono le labbra e
le parole che pronuncia non riguardano il bambino, ma il Signore.
Sono parole di benedizione,
canta le meraviglie di cui è testimone: «Il Signore ha visitato e redento
il suo popolo.., come aveva promesso per bocca dei suoi santi profeti di un
tempo» (Lc 1,68.70).
Zaccaria rappresenta Israele che,
dopo tanti secoli passati a «ricordare», ora è testimone
della fedeltà di Dio: vede spuntare «dall'alto un sole che sorge, per
rischiarare quelli che giacciono nelle tenebre e nell'ombra di morte e dirigere
i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1,78-79). 7
Ora riconosce i suoi benefici
e proclama a tutti i popoli le meraviglie del suo amore.
Nell'ultimo versetto (v.
80) è riassunta l'infanzia di Giovanni.
A ogni israelita il deserto
richiama un tempo decisivo della sua storia e risveglia emozioni e
sentimenti legati al cammino dalla schiavitù alla libertà.
È il luogo dovei suoi padri
hanno fatto l'esperienza della protezione di Dio, dove non sono vissuti di solo
pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.
Il Battista passa la sua
adolescenza e la sua giovinezza nel deserto. Si prepara alla sua missione
assimilando le ricchezze spirituali che il suo popolo ha accumulato attraverso
l'esperienza del deserto.
Nel suo vangelo Luca
riprenderà a parlare di lui dopo che avrà raccontato la nascita di Gesù
«nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare... la parola di Dio scese
su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto» (Lc 3,1).
Eccolo di
nuovo Giovanni, pronto a svolgere la sua missione
P. Armellini, Biblista